È stata aperta a Bari la World Press Photo Exhibition 2025, la grande rassegna internazionale di fotogiornalismo che raggiunge la 68ª edizione e torna per la 12ª volta nel capoluogo pugliese. L’allestimento di quest’anno trova spazio nella Sala del Colonnato del Palazzo della Città Metropolitana, affacciato sul lungomare Nazario Sauro.
Organizzazione e partner dell’edizione barese
L’iniziativa è curata da Cime, da quest’anno Brand Ambassador per l’Italia e tra i principali partner europei della Fondazione World Press Photo con sede ad Amsterdam. La mostra è realizzata con il sostegno della Regione Puglia e in collaborazione con la Città Metropolitana di Bari, il Comune di Bari e il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.
I contenuti in mostra: numeri, testate e temi
In esposizione ci sono i lavori premiati al concorso 2025, realizzati per alcune tra le più autorevoli testate mondiali, tra cui New York Times, Washington Post, Der Spiegel, Time, e per agenzie come France Presse, Associated Press e Reuters. Sono 144 le immagini selezionate tra 59.320 fotografie inviate da 3.778 fotogiornalisti provenienti da 141 paesi. Uno sguardo ampio sul presente, capace di toccare le questioni cruciali del nostro tempo: guerre e conflitti, crisi climatica, movimenti migratori, diritti sociali e civili.
Il concorso: struttura geografica e criteri di selezione
Il World Press Photo Contest mantiene la sua collaudata impostazione per regioni, per costruire un racconto il più possibile globale. Le aree considerate sono sei: Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, Sud America, Sud-est asiatico e Oceania. Per ciascuna regione una giuria ha individuato sette vincitori, ripartiti in tre categorie: tre per Foto singola, tre per Storie e uno per Progetti a lungo termine. Successivamente, una giuria internazionale formata dai presidenti delle sei giurie regionali ha scelto, tra i 47 progetti premiati a livello locale, la World Press Photo of the Year, la celebre “foto dell’anno”. Novità di questa edizione: oltre alla vincitrice assoluta, la giuria ha deciso di attribuire un riconoscimento anche ad altre due finaliste. A presiedere la giuria globale 2025 è stata l’italiana Lucy Conticello, direttrice della fotografia di M, il magazine di Le Monde, che ha spiegato come il processo di valutazione si sia sviluppato in due mesi intensi tra gennaio e febbraio 2025. Secondo Conticello, il concorso non solo valorizza professionisti che operano in contesti complessi, ma restituisce anche, per quanto in modo inevitabilmente parziale, il quadro dei principali avvenimenti internazionali. L’obiettivo, ha sottolineato, è stato individuare immagini capaci di stimolare confronto e dialogo.
Photo of the Year 2025: la vittoria di Samar Abu Elouf
Il riconoscimento più atteso è andato alla fotografa palestinese Samar Abu Elouf, autrice per il New York Times della fotografia premiata come Photo of the Year. L’immagine ritrae Mahmoud Ajjour, bambino di nove anni gravemente ferito a Gaza City nel marzo 2024 durante un attacco israeliano. Coinvolto in un’esplosione mentre cercava di mettersi in salvo con la famiglia, Mahmoud ha perso entrambe le braccia. Dopo un intervento complesso e lunghi mesi di riabilitazione, sta imparando a utilizzare i piedi per scrivere, usare il telefono e aprire le porte; il suo desiderio è poter ricevere protesi per tornare a una quotidianità più vicina a quella dei coetanei. La direttrice esecutiva di World Press Photo, Joumana El Zein Khoury, ha definito lo scatto un’immagine silenziosa ma potentissima, capace di raccontare la vicenda di un singolo bambino e, al tempo stesso, un conflitto dalle conseguenze destinate a riverberarsi per generazioni. Ha inoltre espresso gratitudine nei confronti dei fotografi che, pur affrontando rischi personali e un forte impatto emotivo, continuano a documentare storie che ci aiutano a comprendere, provare empatia e trovare la spinta ad agire.
Le due finaliste selezionate dalla giuria
Tra i finalisti scelti dalla giuria figurano due fotografi. Il nordamericano John Moore (Getty Images) è stato riconosciuto per Night Crossing, immagine che mostra un gruppo di migranti cinesi intenti a scaldarsi subito dopo aver oltrepassato il confine tra Stati Uniti e Messico. Il sudamericano Musuk Nolte (Panos Pictures, Bertha Foundation) è stato premiato per Droughts in the Amazon: lo scatto, parte di un progetto più ampio con lo stesso titolo, ritrae un giovane che porta del cibo alla madre a Manacapuru, un centro che in passato si raggiungeva in barca. Oggi, per via degli effetti della crisi climatica, gli abitanti sono costretti a camminare sul letto prosciugato del fiume Solimões.
Riconoscimenti a fotografi dei Paesi Bassi
La giuria ha inoltre riservato una menzione a due autori olandesi. Prins de Vos (Queer Gallery) è l’autore di Mika, un reportage che segue la storia di un ventunenne dei Paesi Bassi che ha atteso 22 mesi per la prima visita alla Gender Clinic di Rotterdam, sostenendo nel frattempo in autonomia i costi della terapia ormonale e di un primo intervento chirurgico. La freelance Marijn Fiddler ha invece immortalato il culturista Tamale Safalu durante un allenamento nella sua abitazione in Uganda. Dopo aver perso una gamba in un incidente motociclistico nel 2020, Safalu è diventato il primo atleta disabile ugandese a gareggiare insieme agli atleti normodotati.
Area Africa: il progetto a lungo termine di Cinzia Canneri
Per la regione Africa, il premio nella categoria Long Term Project è andato alla toscana Cinzia Canneri, autrice per Association Camille Lepage del lavoro Women’s Bodies as Battlefields (I corpi delle donne come campi di battaglia). Il progetto è iniziato nel 2017, quando la fotografa ha cominciato a documentare le esperienze delle donne eritree in fuga dal proprio paese e in cerca di riparo in Etiopia. Negli ultimi anni, infatti, molti giovani hanno lasciato l’Eritrea per sottrarsi a un regime repressivo che, di fatto, impone una coscrizione militare senza termine. Numerose donne fermate lungo le frontiere sono state aggredite, violentate o colpite all’addome dalle forze nazionali per impedire loro di avere figli. Con l’estendersi della guerra tra le forze governative etiopi, sostenute dall’esercito eritreo e da milizie Amhara, e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF), l’attenzione di Canneri si è allargata alle donne tigrine, che si sono unite alle eritree nella fuga dal nord dell’Etiopia verso i campi per sfollati ad Addis Abeba o in Sudan. Entrambi i gruppi sono stati oggetto di violenze sessuali sistematiche — stupri, spari, torture — che rimangono in gran parte sotto documentate a causa di stigma sociale, carenza di strutture sanitarie e difficoltà di accesso per i media internazionali. Nel gennaio 2024 la fotografa ha co-fondato Cross Looks, un collettivo composto da donne italiane, eritree, tigrine e sudanesi che si propone di costruire una narrazione intersezionale sui temi di genere, classe, razza e altre forme di disuguaglianza. Portando alla luce le storie di vita delle donne delle due comunità mentre cercano di guarire e ridefinire la propria identità, il progetto incarna la missione del collettivo e rielabora in chiave diversa l’idea del “corpo come campo di battaglia”.
